Corriere Meridionale 24 settembre 1891 Punti, appunti, e puntini …

Le nostre spiagge – Leuca

Per distrarsi e per far viaggiare - almeno -  la mente, proponiamo un articolo tratto dal Corriere Meridonale del 1891

La raccolta di riviste storiche è curata da Totò Vallo e fa  parte dell'archivio storico del Circolo Culturale "La Ristola" e leucaweb.

Un salto temporale di 129 anni con Leuca già protagonista.

Parte 1 di 3

 

Corriere Meridionale 24 settembre1891

Punti, appunti, e puntini …

Le nostre spiagge – Leuca

La prima volta che vidi Leuca fu dal bordo del “Marsala”. S’era salpato dal porto di Gallipoli verso le 10 ore del mattino, ed il piroscafo, filando 10 nodi appena, la prora verso Brindisi, teneva una rotta, così prossima alla costa che ne permetteva di osservarla a tutti i suoi particolari. L’aspetto del litorale era quanto mai desolato e selvaggio sia che, andasse a picco a mare, sia che, degradando lentamente, finisse in dune alte e biancheggianti.

Per tutta la sua lunghezza macigni enormi si accalcavano gli uni agli altri, ora sforacchiati, ora rotti da larghe fenditure, e mostranti tutti alla base le tracce della implacabile erosione delle onde, nel lavorio incessante di incalcolabili millenni. Dovunque non un albero, non traccia di vegetazione, solo verso la sommità dei contrafforti qualche raro ciuffo verde ricordava che oltre quella muraglia scoscesa e dirupata c’era un fremito di vita. Rare casucce, coperte di stoppia, e torri dirute, risibili fortilizi avanzati di scomparsi eserciti contro immaginarli e scomparsi nemici, stavano ad accrescere la selvatichezza dei luoghi, che, quasi solleciti di sottrarsi a sguardo umano, fuggivano dietro gli alberi della nave.

Come in un’azione coreografica a un quadro dal colore uniforme, lugubre e spaventoso, uno ne succede tutto luce, tutto gaiezza, così, superata appena la Ristola, ci apparve Leuca, più come un’illusione che come realtà.   Era una fantasmagoria quell’orgia di luce e di colori, e un’immensa tavolozza, o forse uno scenario colossale? Noi ci trovavamo come dinnanzi ad un immenso palcoscenico che a sua volta era un immenso anfiteatro, chiuso a mezzogiorno dalla punta della Ristola, sulla cui cima sorge una tozza torre rossastra, e ad oriente dal promontorio del Meliso su cui giganteggia candido e slanciato il faro, impicciolendo un antico santuario, sorto sulle rovine del tempo di Minerva.   L’occhio corre, distratto, dai camerini che coronano la spiaggia, agli edifizi, più appariscenti per vivacità di colore o bizzarria di disegno, ed ai pinnacoli di quelli posti più dietro, e s’arresta sullo sfondo azzurrognolo  formato da collinette che salgono con lieve pendio dopo essersi lasciate lambire dal mare.

Nei brevi momenti che il piroscafo s’indugiò tra la Ristola ed il Meliso, fu una festa degli occhi non mai paghi d’osservare la magica visione.   E quando l’ultima villa scomparve dietro il promontorio, e solo restò, eterno ciclope, il faro, un desiderio vivissimo di vedere davvicino questa maga affascinatrice, ci assalse e tormentò finché non fu soddisfatto.

Segue ...


Pubblicato il 29/03/2020


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