Salento - Una Regista Castrignanese si racconta

G. Cecere

Cecere: «Niente è mai troppo facile,  nella cinema così come nella vita»

Salento - Tira un vento gelido ma c’è il sole a Posto di Tavernese, spiaggia pochi chilometri a nord di Ostuni, un centinaio a sud di Bari, Adriatico aperto, luce liquida, set per un giorno di Il primo incarico , opera prima di Giorgia Cecere. Motore, azione. La scena viene ripetuta più volte. Non un’alterazione di voce da parte della regista, non un accenno d’impazienza o uno sbuffo isterico. La sua serenità è contagiosa: mai visto un set dove tutti, dall’assistente regista ai fonici alle costumiste agli autisti ai truccatori, danno l’idea di lavorare e divertirsi molto. «Nella vita mi sono concessa il lusso di fare quello che mi piaceva - dice lei più tardi, davanti a una tazza di tè - . E’ possibile che la mia serenità derivi da questo».
Esordiente regista, ma tutt’altro che esordiente nel mondo del cinema, Giorgia Cecere è una sceneggiatrice. Scrive, lo fa da sempre. Lo ha fatto per grandi registi, uno per tutti Gianni Amelio, suo maestro di regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. E la scrittura è stata la sua gavetta, il suo studio, la preparazione difficile ma necessaria, in attesa di passare alla macchina da presa. «Ricordo che un giorno, al Centro Sperimentale, arrivò il più grande dei grandi: Akira Kurosawa. Eravamo tutti impressionatissimi da quest’uomo piccolo, anziano, da quest’aura che gli risplendeva intorno. A un certo punto, uno dei ragazzi gli chiese cosa è necessario per fare un film. Lui tirò fuori dal taschino una penna. Ecco: io so questo del cinema. Regia e scrittura: per me le due cose sono sempre state mischiate».
Leccese di Castrignano del Capo, vive a Roma da anni. «Scalpitavo», dice. Sembra scalpiti ancora. E’ un fluire di parole, di idee, di storie inventate e tenute in serbo, che aspettano solo il momento giusto per essere raccontate. «Da ragazzina volevo andare, vedere, vivere cose diverse. Il mio paese era troppo piccolo, conservatore, lontano da tutti e da tutto. Gli ambienti piccolo borghesi sono mortiferi per me». La prima via di fuga sono stati i libri, Salgari, Stevenson, Conrad. Leggeva di tutto. Era come una malattia. Il bisogno di scrivere è arrivato più tardi, non il desiderio di fare cinema però: «Quello è stato precoce dice - . L’estate vedevo i film all’aperto, a Santa Maria di Leuca. Antonioni, Tarkovsky, Sergio Leone… Capivo di avere una possibilità meravigliosa: quella di attraversare mondi diversi, di vivere altre esistenze con grande emozione, perché il cinema, come la letteratura, spesso restituiscono una intensità anche maggiore della vita reale » . Si slega i capelli, per riannodarli un istante dopo. Lo fa di continuo. Un gesto quasi meccanico, è il suo modo di calibrare le pause, di concentrarsi sul racconto. «Sto molto a mio agio nel mondo immaginario - dice - . Spesso sono stata più a mio agio lì che nel mondo reale».
Rewind , torniamo agli inizi. Apprende dell’esistenza della scuola di cinema da un giornale. Ha finito il liceo da qualche anno. Parte per Roma, supera il concorso per regia, lì incontra Amelio, dopo qualche anno comincia la loro collaborazione. «Al film Ladro di bambini ci ho lavorato parecchio: alla sceneggiatura, alla preparazione, alle riprese… Una grossa opportunità per me, anche di soddisfazione personale». Da Roma a Bassano, al laboratorio Ipotesi Cinema di Ermanno Olmi: «Molto diverso dall’accademia di Roma; a Bassano poteva venire chiunque, non c’erano selezioni, ma gli incontri erano così impegnativi, che la selezione avveniva in maniera naturale. Ci s’interrogava sulla cosa essenziale: cosa vuoi dire, come e perché. Olmi un grande maestro, il confronto con lui è stato molto difficile, quindi utile per capirsi. E’ stato lì che ho avuto come l’illuminazione». E’ lì che ha anche la possibilità di fare il suo primo piccolo film, Terra Mare , girato in parte a Leuca, in parte in Germania: «Ho seguito un amico che andava all’estero per fare il cameriere, e attraverso la sua storia, ho raccontato lo struggimento della vicinanza e della lontananza». Una prova fisica oltre che professionale: budget ridotto, strumenti di fortuna, condizioni climatiche proibitive: «C’erano meno 20 gradi in Germania, il fiume Meno era ghiacciato ed io mi ostinavo a portare un paio di stupidissimi mocassini».
Il desiderio del cinema inseguito ovunque, e ad ogni costo. Ma i suoi familiari? L’avranno presa per una visionaria. «Sono stata molto fortunata da questo punto di vista. La mia è una famiglia di sole donne: mia madre, ma nonna, io e mia sorella, che ora non c’è più. Molta libertà dai ruoli, dagli schemi, molta severità però sulla necessità di seguire i nostri interessi. Siamo sempre state incoraggiate a seguire le nostre passioni, a riconoscerle per tempo». Non lo dice, ma è a quella famiglia tutta al femminile che ritorna, oggi, con questo suo primo film. Il primo incarico, che oltre ad essere scritto e diretto da una donna, è prodotto da una donna (Donatella Botti per Biancafilm), e interpretato da una donna (Isabella Aragonese, protagonista di Tutta la vita davanti di Paolo Virzì, e di Viola di mare , per la regia di Donatella Maiorca) è un percorso di educazione sentimentale femminile, perché sarà pure vero che l’amore è una cosa per donne, ma non è vero che le donne ci sanno sempre fare.
«E’ un film contro il terrorismo sentimentale - dice la regista - e cioè contro la capacità che ha l’animo femminile di creare da solo il proprio assassino amoroso. E di farlo con una fortissima autosuggestione, talmente forte da diventare più reale del reale » . L’avventura umana: è questo che l’attrae, nell’arte come nella vita. «Siamo gli unici animali consapevoli della morte, e questo già mi sembra intollerabile. E’ da questo principio che nasce ogni cosa, dalla capacità di starci dentro, di venire a patti con questa condizione, dal coraggio: è lì che nascono le mie storie». Ma non avrebbe voglia di raccontare una storia solare? «Le mie storie sono solari. Il primo incarico è una storia d’amore a lieto fine. Ma il cinema è come la vita: niente è mai troppo facile. L’ happy end arriva solo se te lo sai guadagnare».
 

fonte: corriere del mezzogiorno


Pubblicato il 19/11/2009


Condividi: