SCENE MIGRANTI, il progetto vincitore del bando nazionale MIGRARTI

Giovedi 13 aprile alle 19 al Cinelab Giuseppe Bertolucci di Lecce

Domani alle 19 al Cinelab Giuseppe Bertolucci di Lecce due grandi artisti albanesi Adrian Paci e Admir Skurtaj insieme a tutti gli artisti salentini che daranno corpo e cuore a SCENE MIGRANTI, il progetto vincitore del bando nazionale MIGRARTI promosso da Cool Club, Accademia Mediterranea dell'Attore, Tarantarte e Associazione Vellazerimi con il sostegno del Ministero Beni e Attività Culturali. 
Adrian Paci sarà intervistato da Lorenzo Madaro e Luca Bandirali.


Di seguito la  recensione di Franco Ungaro al film SUE PROPRIE MANI

diretto da Adrian Paci e Roland Sejko che verrà proiettato domani alle 19. 


Ingresso libero.
A domani dunque.

 

 

LE VITE IN TRANSITO SU UN MARE CHE ISPIRA IL DIALOGO

Si fa fatica a raggiungere il Salento ma si fa ancor più fatica quando si tratta di far arrivare produzioni culturali nati fuori dai confini regionali e grande è il rammarico quando perdiamo la possibilità di vedere opere e artisti che girano per i più importanti festival ed eventi internazionali d'arte e spettacolo.

All'Istituto di Culture Mediterranee della Provincia di Lecce, ad Apulia Film Commission e al bellissimo festival Cinema del reale svoltosi a Specchia nei giorni scorsi va perciò riconosciuto il merito di aver portato per la prima volta in Salento il film Sue proprie mani di Adrian Paci e Roland Sejko. I due sono figure di spicco negli scenari dell'arte e del cinema contemporaneo europeo, due albanesi, due volti così amici e affini a noi salentini da far apparire sorprendenti se non enigmatiche e magmatiche le loro origini. Solo albanesi o anche salentini?

Sue proprie mani è il film più paradigmatico sul nomadismo delle nostre origini ed esistenze e sulla comune eredità culturale. Racconta una delle tante vicende storiche in cui italiani e albanesi sono stati a cicli alterni e a volte a parti rovesciate vittime e carnefici. L'opera nasce grazie al ritrovamento nel 2000, nei magazzini dell'Archivio di Stato albanese, di due sacchetti di iuta segnati con una semplice etichetta: “Corrispondenza dei cittadini italiani in Albania”. Dentro, centinaia di lettere separate dalle proprie buste e messe alla rinfusa. Lettere che italiani in attesa di rimpatrio spedivano a familiari e amici e viceversa. Tra il 1945 e il 1946, alla fine della seconda guerra mondiale. Lettere mai giunte a destinazione…

Alla fine del 1944 gli italiani in Albania erano circa 24.000, non c'erano solo soldati ma operai, dottori, ingegneri arrivati lì durante l'occupazione fascista dell'Albania e che lì rimasero intrappolati con l'avvento al potere di Enver Hoxha. 
Adrian Paci e Roland Sejko raccontano storie vere realizzando una versione cinematografica e una installazione d'arte con cinque grandi schermi, creando un affresco intensamente poetico e politico nello stesso tempo.
Storie personali al servizio di una storia che doveva sembrare agli occhi degli italiani fulgida e splendente (ricostruire l'impero di Roma ) e che invece naufragò portando disperazione, dolore e morte.
Storie di distanze forzate, di incomunicabilità, di guerre subite, di ritorni negati. 
Con i testi di quelle lettere i due artisti albanesi hanno ricostruito fatti e snodi storici, legami e rapporti che da sempre tengono uniti e vicini due popoli, due identità, due culture. Lo fanno trasformando documenti storici in materiali e dispositivi dell'animo umano, con una fortissima densità e aderenza emotiva, facendoci percepire gli stessi sentimenti, le stesse passioni, le stesse aspettative di chi scriveva quelle lettere. 
Girato nella vecchia villa del re Zog a Durazzo, riprendono visi, mani, oggetti, immagini che scorrono come un unico piano-sequenza. Scorrono come possono scorrere i ricordi, implacabili e irremovibili nella loro fluida lentezza e ripetizione. Scorrono come lunghi silenzi fra parole che chiedono amore, perdono, aiuto. Scorrono come possono scorrere i momenti di smarrimento di chi è costretto a vivere lontano dai propri affetti, scorrono con le interruzioni di un pianto trattenuto in gola, con l'assurdità di un tempo che non passa mai, con l'insensatezza di domande che non trovano risposte e di lettere che giacciono nei bunker del potere politico e militare. 
Immagini e voci che ci allontanano dal tempo storico portandoci in una dimensione spazio-temporale universale, in luoghi di sradicamenti e di nomadismi, in un tempo che è il tempo della incomunicabilità e soprattutto delle vite in transito. 
Sue proprie mani è simile per certi aspetti all'altra opera The Column che Adrian Paci aveva portato alla Biennale di Architettura di Venezia del 2014, un racconto per immagini del transito di un blocco di marmo estratto in una cava di Pechino e che veniva trasformato in una colonna corinzia dagli artigiani cinesi durante la traversata su una nave cargo che la portava in Occidente, propria quella colonna che il pubblico poteva ammirare fuori dall'Arsenale di Venezia.

Anche Sue proprie mani racconta storie di persone in carne e ossa, vite di italiani che sono transitati fra le due sponde dell'Adriatico. Su quelle onde che spesso si alzano al cielo come impenetrabili blocchi e muri, macchiandosi di sangue e di dolore, sbattono e si infrangono ancora desideri negati e sogni di libertà. C'è poco eroismo in quelle storie e in quelle vite, c'è la flebile voce ora rassegnata ora stordita di chi vede dipendere il destino dai giochi di un potere più grande di loro.

La bellezza e la necessità di opere come quella di Adrian Paci e Roland Sejko possono guidarci verso nuovi intrecci di storie e di relazioni fra la Puglia e l'Albania. Possiamo ripartire da quelle lettere, per riprenderci nelle nostre proprie mani il senso e la direzione di una nuova stagione di dialogo e cooperazione fra le due sponde dell'Adriatico. Guardando meno agli interessi dei pochi e un pò di più ai desideri dei molti di vivere in un mare di pace e di libertà. 


Pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia l'1 agosto 2016


Pubblicato il 12/04/2017


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