a cura di Franco Ungaro
Il reportage
Diario di viaggio da Rio de Janeiro del direttore artistico dei Cantieri teatrali Koreja
«Gli applausi dei carioca a uno dei tramonti più incantevoli e strazianti del mondo»
Un pugliese malato di saudade
Quali potrebbero essere le chiavi d’accesso più giuste per raccontare Rio de Janeiro? Quelle abusate del Cristo Redentore e del Corcovado, di Praça Floriano e del sontuoso teatro Municipal, di Copacabana e del Pan di Zucchero, del samba e della saudade, delle favelas, delle sbornie da capirinha, dell’allegria e del sesso facile, dei preparativi per le Olimpiadi del 2016 o di cosa altro ancora? E’ durato così poco il tour di Koreja, sei giorni con spettacoli e viaggi compresi, che la città si è manifestata per frammenti, per squarci, per emozioni intense e veloci carpite alla spumeggiante estate che lì inizia con le feste di Natale e prosegue con il Carnaval. Anche Giardini di plastica ci è sembrato scorrere veloce,nonostante il montaggio dello spettacolo sia stato complicato e più lento che mai. Problemi di luce. Ce n’era troppa.
Dentro e fuori il teatro. Eppure, poter guardare negli occhi il gruppetto di ragazzi di strada che non volevano staccarsi dai nostri attori e dalla magia dello spettacolo è stato il dono di Natale più bello, i loro sguardi ci hanno ripagato di ogni stanchezza e difficoltà, del fuso orario, delle complicazioni tecniche e delle incazzature per i ritardi di Alitalia e dei bagagli smarriti al ritorno, sempre e ancora a Fiumicino. Fuori dalla bellissima Sala Italia, fiore all’occhiello dell’Istituto Italiano di Cultura diretto da Andrea Baldi, direttore generoso e colto che ci ospitava e che avevamo già incontrato a Beirut, Rio de Janeiro si racconta in ogni angolo nella dialettica fra alto e basso. C’è il morro con le favelas aggrappate agli altipiani in cerca di pane e giustizia e c’è l’asfalto con i grattacieli che sfidano il cielo, emblemi di potere e ricchezza. Ne incontriamo davvero tanti di disperati che vivono per strada in pieno centro, si abbeverano alla luce del sole addormentati nudi e abbrutiti su panchine e marciapiedi. Sono pure tante attorno a Rua da Carioca le immancabili griffe internazionali.
Soprattutto c’è la Rio da evitare quando cala il sole, bisogna stare attenti a scippatori e violenti specie nel centro della città e spostarsi sempre in taxi. Ma Rio è anche e soprattutto la Cidade Maravilhosa, quella degli applausi che i carioca seduti all’angolo estremo della spiaggia di Ipanema riservano al sole e ai tramonti più incantevoli e strazianti del mondo, la Rio che ci hanno cantato Vinicius de Moraes e Tom Jobim con Garota de Ipanema. «Guarda che cosa stupenda/colma di grazia/è lei, la ragazza/che viene e che passa/ in un dolce dondolarsi/verso il mare…./Ah, se lei sapesse/che quando passa/il mondo sorridendo/si colma di grazia/e diventa più bello/perché c’è l’amore». Dalla spiaggia di Ipanema si scorge pure Rocinha, la favela più grande di Rio, quasi duecentomila abitanti e a pochi metri dalla spiaggia ogni domenica c’è l’Hippie Fair, dove è possibile incontrare l’artista Joanne Geldorf e sua madre centenaria che perpetuano i fasti del movimento hippie componendo in totale libertà e anarchia straordinari oggetti ready made. Ci hanno parlato di bellezza,amore e mistero i 215 gradini della scalinata che s’inerpica dagli Arcos del quartiere Lapa, dove di notte impazza la movida carioca, sino al convento di Santa Teresa nell’omonimo quartiere che è anche la parte più antica della città. Piastrelle di ceramica rosse, blu gialle e verdi provenienti da ogni parte del mondo sono state installate sulla scalinata da Jorge Selaron, geniale e folle artista cileno, il cui corpo venne trovato bruciato e ricoperto di diluenti poco più di un anno fa. La sua morte è ancora avvolta dal mistero ma incontestabile è stato il suo amore per Rio come incontestabile è la bellezza dell’opera, un vero museo vivente della fantasia e della libertà.
Sa invece di mistero anche l’incontro con Norberto Presta, attore e regista argentino che nel 1988 spinto da curiosità e amore per il teatro era arrivato sino ad Aradeo con la sua Citroen Pallas e con il suo spettacolo ad infiammare le notti già torride sulle terrazze del Castello Tre Masserie. Dopo tanto peregrinare fra Germania e Italia, ora lavora a Rio, entusiasta del dinamismo e della vitalità della scena teatrale brasiliana eroicamente alimentata dal Presidente Lula. A pochi metri dall’inizio della scalinata Selaron c’è la sede del Grupo Teatral Moitarà di Venicio Fonseca ed Erika che sono venuti a vedere il nostro spettacolo. Il giorno dopo visito la loro sede, dentro un palazzo di quattro piani abitato anche da altri artisti, musicisti e pittori che stanno ristrutturando
gli spazi di quella che sino a qualche anno fa era una fabbrica. In questo angolo di Lapa gli artisti vivono in simbiosi con la gente comune e stanno cambiando il volto e l’anima di questo quartiere. Venicio ed Erika sono diventati esperti nella costruzione di maschere, apprendendo il mestiere dalla famiglia Sartori di Padova. Dopo aver lasciato la sede di Moitarà, il tredici dicembre, sulla via del ritorno verso l’albergo
incrocio la chiesa di Santa Lucia. Vedo tanta gente e sto per entrarci quando sul mio cellulare arriva un sms della mia amica
attrice Laura Curino. Oggi è Santa Lucia una festa antichissima, che ha a che fare con le stagioni, i bambini, la luce. Ho pensato di farteli oggi gli auguri per le feste. E ti auguro tanta Luce! Problemi di luce a Rio, mi dico. Tanta Luce.
Franco Ungaro
Pubblicato il 09/01/2015