Curiosità da Leuca "La più antica guida del Salento"

A cura di Totò Vallo

La Regione Iapigia corrisponde al territorio delle tre province di Taranto, Brindisi e Lecce. Agli inizi del Cinquecento questa regione fu raccontata e descritta da parte di un grande umanista pugliese: Antonio De Ferraris, a volte scritto “De Ferrariis”, detto ilGalateo (Galatone, 1444 – Lecce, 12 novembre 1517), è stato un medico, filosofo e astronomo italiano.

La relazione, titolata "De Situ Iapygiae" scritto nel 1510-11, era stata richiesta all'autore dal conte di Cariati, Giovan Battista Spinelli, un potente politico dell'establishement del viceregno di Napoli, appena conquistato dagli Spagnoli, affinchè il nuovo sovrano Ferdinando il Cattolico potesse contare su un quadro di conoscenze indispensabili ad impostare una adeguata attività di governo sui nuovi domini. Il "De Situ" ha le caratteristiche di una lunga lettera, secondo uno schema molto caro all'autore (che di queste lettere ne scrisse numerose, su svariati argomenti letterari, a vari personaggi di spicco contemporanei). e fu per secoli il più autorevole trattato storico-geografico sul Salento.

Si riporta di seguito un estratto del De Situ Japigiae nel quale sono riportate le parole del Galateo: «Questa provincia genera gente assai tranquilla e per nulla assetata di sangue umano, ma ad alcuni sembra che la natura abbia guastato questi suoi tanto pregevoli doni, di cui ho parlato. Essa infa_i fece nascere qui una specie di ragno pericolosissima, gli effe_i del cui veleno possono essere inibiti dal suono dei flauti e dei tamburrelli: non lo avrei ritenuto possibile, se non lo avessi visto di persona, facendone esperienza moltissime volte, e se, confortato dall’autorevolezza di Teofrasto, non avessi le_o in Aulo Gellio esservi alcuni serpenti il cui veleno è reso inefficace dal canto e dal suono dei flauti: «est etiam ille malus Calabris in montibus anguis»

«Le paludi del territorio di Nardò non sono malsane. Infa_i non producono alcuna esalazione o solo poche e comunque non nocive. In estate tu_o è asciu_o, nulla resta di quell’umidità fangosa, pesante e palustre, ma soltanto quanto serva a rendere i campi più fertili. In queste paludi, così come avviene tra i campi di Manduria, di Baleso e di Copertino, è dato vedere talvolta certi

miraggi, che chiamano mutazioni o mutate. Il popolino favoleggia di non so quali streghe o lamie o, come le chiamano a Napoli, janare o, come dicono Greci, nereidi. Questa diceria si sparse per tu_a la terra e trasse in errore le persone povere e sprovvedute. Senza che vi sia chi possa confermarlo con certezza, senza che si adduca alcun ragionamento plausibile, senza alcuna prova

che lo documenti, ognuno presta fede a cose che non ha visto né sono vere. Ci a_eniamo alle altrui dichiarazioni e alle testimonianze di gente ignorantissima; crediamo a puerili fantasticherie e a senili vaneggiamenti, dando più peso all’udito che alla vista. Non si trova nessun testimone oculare, tu_i amme_ono di averlo udito da altri. Da quante tenebre è avvolto il genere umano,

nato per la menzogna, al quale la verità è stata sempre odiosa. Quanta oscurità o_enebra gli animi degli uomini, so_o altri aspe_i razionali e divini, al punto che non senza ragione qualcuno potrebbe ritenere che tu_e le cose umane sono assai simili a questi miraggi di cui parlerò. Alcuni sono convinti dell’esistenza di certe donne malefiche o piu_osto diaboliche che, spalmatesi di

unguenti, di no_e assumono l’aspe_o di animali diversi e vanno errando, o piu_osto volando per terre lontane, raccontando quanto lì avviene; eseguono in circolo danze per luoghi paludosi e si incontrano con i demoni; entrano ed escono da porte chiuse e fessure; uccidono i bambini e compiono non so quali altre stranezze. E ciò che fa restare sopra_u_o stupefa_i è che sono state

emanate a riguardo delle gravissime condanne da parte dei pontefici. Simile a questa è la credenza nei vampiri, che ha invaso l’intero Oriente. Dicono che le anime di coloro che vissero scelleratamente, sono solite volar via dai sepolcri in forma di globi di fuoco, apparire ai conoscenti e agli amici, cibarsi di animali, succhiare il sangue dei bambini e ucciderli, quindi ritornare nelle

loro tombe. La gente, superstiziosa, disso_erra le sepolture e, lacerato il cadavere, ne estrae il cuore, lo brucia e ge_a lontano la cenere ai qua_ro venti, cioè alle qua_ro parti del mondo: crede che in tal modo si ponga fine a quel flagello. E sebbene si tra_i di una superstizione, tu_avia ci dimostra quanto siano implacabilmente odiati tu_i coloro che condussero un’esistenza malvagia,

sia da vivi che da morti. Simile è anche il racconto di Ermotimo di Clazomene raccolto da Plinio e quello sul sepolcro stregato riportato da Seneca; né mancarono in passato codeste vane illusioni dei sensi dell’uomo. Una volta che la mente sia stata tra_a in errore e si sia convinta di cose non vere, è inevitabile che anche i sensi si ingannino, e ingannati questi, la mente sragiona. Vi è grande contiguità tra sensi e mente. Talvolta la stessa mente da sola, ovvero sia, come dicono, le sole virtù interiori adempiono alle funzioni che son proprie degli organi di senso esterni. Ne sono un classico esempio i sonnambuli, che compiono le azioni di coloro che sono svegli. E, secondo quanto a_esta Galeno, un uomo in preda al delirio vedeva in un angolo della casa dei suonatori di flauto, e un bastone, immerso nell’acqua, appare spezzato, e incrociate le dita a formare una grata e guardando in alto con un occhio due cose sembrano una, e due linee che corrono parallele paiono ai sensi congiungersi, pur non toccandosi mai. Anche lo stesso La_anzio, che si diede più allo studio dell’elocuzione che non alla conoscenza degli svariati campi del sapere, negò che la terra fosse ovunque abitabile. Le apparenze indussero costui in un errore banale e da la_anti. Come negare il senso per la ragione vuol dir mancar di ragione, così anche non lasciarsi convincere dalla ragione a causa di qualche apparenza ingannevole è da stolti. Allora infa_i si può esser certi, quando, come dice Aristotele, (nel suo De Coelo n.d.a) “o logos tois fainomenois marturei kai ta fainomena …”, cioè quando la ragione conferma quanto appare e quando le sensazioni ratificano il ragionamento. Quando entrambe non concordano vicendevolmente, è tu_o falso, è tu_o un errore. Ma torniamo ai nostri fantasmi. Ti capiterà di vedere talvolta ci_à, borghi e palazzi, a volte anche animali e buo i screziati e immagini di altri ogge_i o piu_osto

apparizioni, là dove non vi è alcuna ci_à, o bestiame e neppure cespugli. Qualche volta è stato piacevole per me assistere a questi divertenti giochi della natura. Sono visioni che non durano a lungo, ma come le folate di calore tra le quali compaiono, passano da un luogo ad un altro e cambiano forma, per cui forse son de_e “mutate[…]”, “Al Promontorio Iapigio, su cui si eleva la chiesa di Santa Maria, tempio famoso e sacro perché antico luogo di culto e degno di venerazione. Qui vi era una piccola cittadina, ora distrutta, che si chiamava Leuca e di cui Lucano dice «Parvae moenia Leucae»: credo che venisse così denominata dal bianco colore della nuda roccia su cui si ergeva.”

 

 


 


Pubblicato il 02/09/2020


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